Meccanica Quantistica è un termine che al giorno d’oggi evoca mistero, fascino, complessità. Per i fisici questo è dovuto dal fatto che si distacca in maniera radicale dalla meccanica classica, mentre per i “non addetti ai lavori” la cattiva informazione e l’esagerazione con paragoni non corretti (al fine spesso di avere un profitto personale) ha portato le persone a credere che questa branca della fisica possa spiegare fenomeni spirituali, esoterici e poteri ESP. Vorrei sfatare alcuni miti riguardanti la MQ, ma prima vediamo precisamente come si è sviluppata e perché risulta così complessa ed interessante.
Curiosamente,
tutto ebbe inizio quando diversi scienziati furono finanziati per
studiare l’allora recente lampadina, per potenziarla e renderla più
efficiente. Le vecchie lampadine funzionano grazie un filamento che si
riscalda a tal punto da emettere luce, un po come un metallo diventa
incandescente se fortemente surriscaldato. Perché un oggetto diventa
luminoso o incandescente? Perché i suoi atomi, ovvero i granelli di cui
un oggetto è composto, quando vengono stimolati attraverso l’apporto di
energia (il calore è energia!) tendono ad assorbirla per poi rilasciarla
sottoforma talvolta di onde luminose. Si cercò quindi di trovare una
formula che potesse dire quanto sia luminoso un oggetto in relazione
alla sua temperatura, tecnicamente viene chiamato studio della radiazione di corpo nero.
Il colore della luce emmessa da un oggetto riscaldato, dipende dalla
temperatura e quindi dall’energia posseduta dal corpo, in questo caso
sottoforma di calore. Ma cos’è l’energia? Per qualche strano
motivo, penso legato ai fumetti e ai cartoni animati giapponesi, molte
persone sembrano credere che l’energia sia una specie di fluido
blu-verde luminiscente che se ne va in giro per conto suo… Ma l’energia
NON è un oggetto, è una proprietà. E’ una quantita che viene associata
agli oggetti fisici.
Qualunque sistema fisico che sia composto da particelle, campi, onde,
oppure da oggetti della vita quotidiana, possiede una certa quantità di
energia in qualche forma. Ne esistono diverse forme: cinetica (energia
degli oggetti in movimento!), di massa (la massa di un oggetto, ovvero
la materia di cui è composto, equivale ad un certo quantitativo di
energia), vari tipi di energia potenziale (energia posseduta per esempio
da un oggetto in alto, che durante la caduta trasforma l’energia
potenziale in energia cinetica), ed altre definite a livello
macroscopico, come per esempio il calore.
Notate che ho messo la massa tra le forme di energia. Quindi un
corpuscolo fermo possiede almeno l’energia associata alla sua massa.
D’altra parte esistono oggetti privi di massa (per esempio i fotoni),
che tuttavia hanno ugualmente energia e non possono mai essere fermi.
L’energia si può convertire da una forma ad un’altra. Per quanto ne
sappiamo però l’energia totale si conserva SEMPRE in qualunque processo
fisico.
Tornando al nostro oggetto, dopo svariati rilevamenti gli scienziati si accorsero che non era facile descrivere il comportamento della luminosità di un oggetto in base alla sua temperatura. Non era possibile utilizzare una formula unica che potesse descrivere il comportamento dell’oggetto ad alte e basse temperature: erano necessarie due formule distinte. I conti non tornavano, infatti mancava un dettaglio fondamentale!
Nel Nel 1900 Max Plank, attraverso lo studio delle varie emissioni a diverse temperature, si accorse che l’unico modo per descrivere correttamente l’energia assorbita o emessa dagli atomi, era considerarla come composta da pacchettini. L’energia non è piu trasferita come, per analogia, un flusso d’acqua costante, ma come un passaggio di singole microscopiche gocce, le quali sono indivisibili. Non posso avere mezzo pacchettino di energia, oppure un quarto: o il pacchetto intero, o niente. Questi “pacchettini” sono così piccoli che anche nella piu piccola applicazione di tutti i giorni ne vengono scambiati miliardi di miliardi di miliardi, quindi noi non siamo in grado di percepire queste microscopiche suddivisioni. Proprio per questo Plank era convinto ci fosse un’altra spiegazione in quanto riteneva assurdo dover considerare l’esistenza di piccoli pacchettini di energia con valore costante. Nel 1901 si arrese invece all’idea , non trovando altre soluzioni per la sua formula: nacque così la teoria quantistica secondo la quale gli atomi scambiano energia con la radiazione (per assorbimento ed emissione) in modo discontinuo in pacchetti minimi ben definiti, chiamati “quanti”. Successivamente Einstein compì il passo successivo, la comprensione che la radiazione stessa può scambiare energia solo in pacchetti minimi indivisibili: introdusse così il concetto di “fotone”. Il fotone trasporta un quanto di energia di un’onda elettromagnetica, una quantità molto piccola, uguale alla sua frequenza moltiplicata per una costante: la costante di Planck. Attenzione, questo ci dice forse che esiste in generale un minimo pacchetto di energia immaginabile? In realtà no! Notate che un’onda elettromagnetica di una certa frequenza può scambiare solo pacchettini di energia ad essa proporzionali, tuttavia possono esistere onde di qualunque frequenza, e quindi, corrispondentemente, fotoni di qualunque energia. In tal modo anche l’energia può essere concettualmente rappresentata, come la materia, sotto forma granulare: i quanti sono appunto come granuli di energia indivisibili. Un primo concetto quindi é sapere che l’energia, nell’infinitamente piccolo, raggiunge una quantità minima misurabile, definita “quanto”. Esiste ad esempio il quanto di luce – ovvero un fotone – ed il quanto di gravità ovvero il gravitone.
Proseguendo gli studi sulle particelle, gli scienziati si accorsero
di altre cose al tempo “sconcertanti”. Per esempio le particelle a
livello quantistico, quindi ingrandendo miliardi di volte, si comportano
a volte come onde, a volte come particelle. Cosa significa? Come
scoprirono tutto ciò? Immaginate due particelle come biglie, una volta
scontratesi si trasformano in un onda la quale dopo poco tempo si
dissolve e ricompaiono al suo posto le due biglie.
Successivamente con ulteriori studi sulle particelle ci si accorse che
esse tendono a comportarsi sia come onde – immaginiamo un fascio di
luce, che è composto da onde elettromagnetiche – oppure come corpuscoli:
immaginiamo la luce colpire i pannelli fotovoltaici e come biglie,
smuovere gli elettroni all’interno del pannello e generare corrente
elettrica. Quindi i fotoni si propagano nello spazio sottoforma di luce,
si comportano come onde e non come particelle, mentre quando colpiscono
i pannelli fotovoltaici si comportano come particelle le quali generano
una corrente elettrica tramite delle interazioni con gli atomi del
pannello. A questo punto la domanda è: la luce è composta da onde o da
particelle? Nel 1926 ad Erwin Schroedinger venne l’idea di considerare
le particelle secondo una funzione d’onda (una formula matematica che
descrive le onde) segnando così una svolta storica nella meccanica
quantistica. In meccanica classica, lo stato di una particella viene
definito attraverso il valore esatto di ciò che possiamo osservare, cioè
la sua posizione e la sua velocità. In meccanica quantistica, invece,
lo stato di una particella è descritto grazie alla rappresentazione di
Schroedinger. Essa non descrive esattamente la posizione e la velocità
di una particella, ci indica invece una “nuvola di punti” dove
probabilmente è possibile trovare la particella in quel dato istante. In
poche parole in meccanica quantistica una particella non ha mai una
posizione ben definita, ma una “nuvola di posizioni” entro la quale essa
può essere rilevata.
Successivamente attorno al 1927, Niels Bohr e Werner Karl Heisenberg studiando la luce svilupparono quella che viene oggi definita Interpretazione di Copenaghen, proprio perché svolsero il loro lavoro di ricerca principalmente nella grande capitale danese. Svilupparono il concetto di dualità onda-corpuscolo: dimostrarono cioè che la luce si comporta sia come fosse formata da onde, sia come “quanti” di energia definiti fotoni. Nell’esperimento della doppia fenditura due fasci di luce vengono emessi verso uno schermo da due fenditure: quando raggiungono lo schermo le onde si sovrappongono sommandosi o sottraendosi. Immaginiamo la parte alta di un onda d’acqua sommarsi con un onda d’acqua nel momento in cui è piu bassa, il risultato sarà zero: questo punto dello schermo risulta infatti essere buio! Recentemente, con lastre molto sensibili, è stato inoltre rilevato che quando il fascio di luce raggiunge lo schermo, lo colpisce un fotone alla volta. La somma di tutti questi fotoni genera la figura di interferenza discussa poco sopra, ma nonostante tutto non è possibile ottenere sia l’effetto generato dalle onde che poter misurare i singoli fotoni! Questo viene definito principio di complementarità.
Dobbiamo inoltre ad Heisenberg la scoperta del principio di indeterminazione, secondo il quale a livello subatomico non è possibile conoscere sia la posizione di una particella, sia la sua velocità: più precisa sarà la misura della sua posizione, più imprecisa sarà la misura della sua velocità. Alcuni sostenevano che questo problema era dovuto agli strumenti di misura, oppure al fatto che alla meccanica quantistica mancavano dei dettagli fondamentali attraverso i quali poter calcolare la posizione delle particelle. Anche al giorno d’oggi questo dibattito è molto acceso, ma per ora il mondo subatomico è come un mondo “a sé” nel quale con i nostri strumenti di misura non riusciamo a vedere in modo nitido. Possiamo solo stimare con una certa probabilità che una particella sia in un dato punto oppure in un altro. Anche questo crea molta confusione, perché ad esempio nella meccanica quantistica una particella “completamente ferma” ha una certa probabilità di trovarsi in un altro punto poco distante.
Einstein assieme ad altri due ricercatori ideò allora un famoso esperimento mentale, definito EPR (Einstein Podolsky Rosen) per mettere in crisi il principio di indeterminazione di Heisenberg. Il principio di indeterminazione dice che è impossibile calcolare con precisione sia la velocità che la posizione di una particella. Immaginarono però una particella che si suddivide in due particelle minori le quali via via si allontanano: in questo modo è possibile misurare la posizione di una e la velocità dell’altra perché essendo partite dalla stessa sorgente abbiamo sufficienti elementi per calcolare sia la posizione che la velocità di entrambe! Per permettere invece al principio di indeterminazione di Heisenberg di rimanere comunque valido, venne supposta l’esistenza dell’entanglement quantistico. In poche parole quando misuro la velocità della particella A, incredibilmente questa misura influisce direttamente sulla misura della posizione nella particella B, nonostante essa sia molto distante, impedendo in questo modo di poterne sapere con esattezza la posizione: nasce così l’idea di stato entangled, ovvero quando due particelle sono nate dalla stessa sorgente, se effettuo una misura su una di esse l’altra istantaneamente reagisce variando i suoi parametri di conseguenza. Questa idea fu subito fortemente criticata, per il fatto che la variazione sulla seconda particella non può essere istantanea, visto che la massima velocità raggiungibile è la velocità della luce (anche per la trasmissione di informazioni tra particelle!), niente può trasmettersi in modo istantaneo. Eppure è stato recentemente dimostrato tramite la sperimentazione, che l’entanglement quantistico esiste veramente. Non è possibile tuttavia sfruttarlo in nessun modo, in quanto le due particelle entangled variano senza nessuna logica, in modo totalmente casuale, impedendoci così di trasferire informazioni ma le applicazioni tecnologiche sono notevoli! Vi rimando a questo link
Scritto da Riccardo Maestri
Revisionato da Enrico Shad